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prendiamo la strada verso Uis e abbiamo ancora addosso e nel naso l’odore fetido di questi animali.
Il carburante scarseggia. Tentiamo di fare rifornimento a Mile72, una costruzione bianca in un posto sconcertante in mezzo al deserto, alle sabbie mobile e alle saline. Tutto è talmente piatto e abbagliante che il terreno tremola sotto i raggi infuocati del sole dando vita ai primi veri miraggi che ho potuto vedere. Penso che uscendo dalla strada segnata si potrebbero avere seri problemi di orientamento.
A Mile72 la benzina non c’è ma vediamo due uomini di colore che probabilmente dormono in una tendina verde a igloo piantata a ridosso di un muro. Sono infagoottati in un pastrano per difendersi dal vento e dalla disidratazione. Che ci faranno là? Roberto ed io non abbiamo altre parole che – poveracci, che vita di merda-.
La C35 è una strada estrema , qui non c’è segno di vita, non incrociamo nessuno non ci campano neanche gli struzzi , in dei tratti è anche difficile distinguere la strada segnata dalla pietraia baluginante e rovente.
Dopo qualche ora si staglia alla nostra sinistra l’imponente Brandeberg Plateau, la più alta montagna della Namibia, famosissima per le iscrizioni rupestri e gli spettacolari scenari.
La strada è così piatta e dritta che le pochissime curve sono segnalate molto prima ma fortunatamente ad un certo punto comincia a salire e a movimentarsi.
La stanchezza e l’intorpidimento cominciano a prendere il sopravvento sull’innata sfiducia del maschio verso la donna al volante ma alla fine Roberto mi cede di sua spontanea volontà la guida del nostro carrozzone.
Viaggiamo per diversi kilometri in direzione Korixhas e il panorama migliora molto velocemente. Ci fermiamo a fare diverse foto, anzi ci sarebbe da fotografare ogni pietra, ogni cespuglio perchè è tutto stupendo.
Formazioni rocciose dalle improbabili forme ed incastri si susseguono senza sosta, sono delle creazioni artistiche, alcune racchiudono al loro interno un tronco bianco disseccato e scolorito dal sole, altri un alberello verde ma contorto dal vento e dal calore.
Il tramonto si affaccia e tutto si accende di rosso, i colori si esaltano, la perfezione del sunset africano è indescrivibile non solo per la bellezza che appare agli occhi ma anche e soprattutto per le emozioni malinconiche e struggenti che suscita dentro di noi. Il grande Dante lo diceva anticipando il romanticismo :- …è l’ora che volge al desio…_-
La strada è in leggera discesa e ai lati ci sono di tanto in tanto delle tettoie pericolanti dove indigene Herrero vendono le loro bambole cucite a mano. Ci fermiamo e scambiamo due parole con Lucky e Teresa. Sono madre e figlia, indossano i consueti abiti bizzarri e sgargianti, hanno in testa un cappello simile ad una incudine lunga e schiacciata.
Sono molto allegre e comunicative e a noi sembra impossibile che siamo così estroverse vivendo in un posto simile ma come tutte le poche persone con cui siamo entrati in contatto sono gentili, amabili e hanno dei bellissimi sorrisi luminosi.
Arriviamo verso le 18,30 al Camp Xaragu. E’ un campo tendato spartano ma molto suggestivo in mezzo a una sconfinata pietraia desertica, la nostra tenda è piccola ma confortevole. Corriamo a fare una doccia perchè è già buio, alle 17 vengono spenti i generatori e accese le lampade a petrolio .
I servizi comuni sono in dei casottini in legno chiusi da tende in bambù ma l’acqua è gradevolmente tiepida e fa comodo perchè nel deserto la sera è fresco.
Tutti gli ospiti cenano insieme su tavoli comuni sotto una grande tettoia in fibra vegetale.
L’ambiente, ovviamente, non ha nessun tipo di parete ed è illuminato solo dalle lampade a petrolio. Le portate sono ottime, assaggiamo il kudu e un gustosissimo brai (la grigliata) di selvaggina locale.
Oltre a mnoi non ci sono italiani, conversiamo con dei signori svizzeri che stanno viaggiando da tre mesi. Hanno spedito il loro camper via mare, l’hanno recuperato in Sudafrica e adesso stanno scorrazzando il lungo e in largo fra Sudafrica, Botswana , Namibia e non so che altro dove.
La signora, piuttosto anziana, aveva la nonna italiana ma ovviamente parla inglese, gli altri vicini di tavolo sono una coppia di danesi con due bellissime bambine di 3/4 anni. Questi ragazzi viaggiano adesso proprio perchè le bambine sono piccole e non hanno scuola a differenza di noi italiani che per portare un bambino all’estero aspettiamo che diventi maggiorenne.
Mentre, attrezzati, di torcia a batteria, torniamo alla tenda alzo la testa e come ogni sera mi incanto di fronte all’esplosione di luci di questo cielo meraviglioso.
…..continua…