Verso Nord…..fino al Xaragu Camp

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prendiamo la strada verso Uis e abbiamo ancora addosso e nel naso l’odore fetido di questi animali.
Il carburante scarseggia. Tentiamo di fare rifornimento a Mile72, una costruzione bianca in un posto sconcertante in mezzo al deserto, alle sabbie mobile e alle saline. Tutto è talmente piatto e abbagliante che il terreno tremola sotto i raggi infuocati del sole dando vita ai primi veri miraggi che ho potuto vedere. Penso che uscendo dalla strada segnata si potrebbero avere seri problemi di orientamento.
A Mile72 la benzina non c’è ma vediamo due uomini di colore che probabilmente dormono in una tendina verde a igloo piantata a ridosso di un muro. Sono infagoottati in un pastrano per difendersi dal vento e dalla disidratazione. Che ci faranno là? Roberto ed io non abbiamo altre parole che – poveracci, che vita di merda-.
La C35 è una strada estrema , qui non c’è segno di vita, non incrociamo nessuno non ci campano neanche gli struzzi , in dei tratti è anche difficile distinguere la strada segnata dalla pietraia baluginante e rovente.
Dopo qualche ora si staglia alla nostra sinistra l’imponente Brandeberg Plateau, la più alta montagna della Namibia, famosissima per le iscrizioni rupestri e gli spettacolari scenari.
La strada è così piatta e dritta che le pochissime curve sono segnalate molto prima ma fortunatamente ad un certo punto comincia a salire e a movimentarsi.
La stanchezza e l’intorpidimento cominciano a prendere il sopravvento sull’innata sfiducia del maschio verso la donna al volante ma alla fine Roberto mi cede di sua spontanea volontà la guida del nostro carrozzone.
Viaggiamo per diversi kilometri in direzione Korixhas e il panorama migliora molto velocemente. Ci fermiamo a fare diverse foto, anzi ci sarebbe da fotografare ogni pietra, ogni cespuglio perchè è tutto stupendo.
Formazioni rocciose dalle improbabili forme ed incastri si susseguono senza sosta, sono delle creazioni artistiche, alcune racchiudono al loro interno un tronco bianco disseccato e scolorito dal sole, altri un alberello verde ma contorto dal vento e dal calore.
Il tramonto si affaccia e tutto si accende di rosso, i colori si esaltano, la perfezione del sunset africano è indescrivibile non solo per la bellezza che appare agli occhi ma anche e soprattutto per le emozioni malinconiche e struggenti che suscita dentro di noi. Il grande Dante lo diceva anticipando il romanticismo :- …è l’ora che volge al desio…_-
La strada è in leggera discesa e ai lati ci sono di tanto in tanto delle tettoie pericolanti dove indigene Herrero vendono le loro bambole cucite a mano. Ci fermiamo e scambiamo due parole con Lucky e Teresa. Sono madre e figlia, indossano i consueti abiti bizzarri e sgargianti, hanno in testa un cappello simile ad una incudine lunga e schiacciata.
Sono molto allegre e comunicative e a noi sembra impossibile che siamo così estroverse vivendo in un posto simile ma come tutte le poche persone con cui siamo entrati in contatto sono gentili, amabili e hanno dei bellissimi sorrisi luminosi.
Arriviamo verso le 18,30 al Camp Xaragu. E’ un campo tendato spartano ma molto suggestivo in mezzo a una sconfinata pietraia desertica, la nostra tenda è piccola ma confortevole. Corriamo a fare una doccia perchè è già buio, alle 17 vengono spenti i generatori e accese le lampade a petrolio .
I servizi comuni sono in dei casottini in legno chiusi da tende in bambù ma l’acqua è gradevolmente tiepida e fa comodo perchè nel deserto la sera è fresco.
Tutti gli ospiti cenano insieme su tavoli comuni sotto una grande tettoia in fibra vegetale.
L’ambiente, ovviamente, non ha nessun tipo di parete ed è illuminato solo dalle lampade a petrolio. Le portate sono ottime, assaggiamo il kudu e un gustosissimo brai (la grigliata) di selvaggina locale.
Oltre a mnoi non ci sono italiani, conversiamo con dei signori svizzeri che stanno viaggiando da tre mesi. Hanno spedito il loro camper via mare, l’hanno recuperato in Sudafrica e adesso stanno scorrazzando il lungo e in largo fra Sudafrica, Botswana , Namibia e non so che altro dove.
La signora, piuttosto anziana, aveva la nonna italiana ma ovviamente parla inglese, gli altri vicini di tavolo sono una coppia di danesi con due bellissime bambine di 3/4 anni. Questi ragazzi viaggiano adesso proprio perchè le bambine sono piccole e non hanno scuola a differenza di noi italiani che per portare un bambino all’estero aspettiamo che diventi maggiorenne.
Mentre, attrezzati, di torcia a batteria, torniamo alla tenda alzo la testa e come ogni sera mi incanto di fronte all’esplosione di luci di questo cielo meraviglioso.

…..continua…

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…..le dune ruggenti del Namib

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Andiamo vanti per un bel tratto sulla cresta, ci raggiungono anche i nostri amici inglesi , fino a scorgere in lontananza un puntino: è Ernest che ci viene incontro. Come i ragazzini ci divertiamo a scendere dalle dune saltellando sul posto in modo da creare un particolare effetto sonoro, un boato simile ad una valanga. Che ganzata!
Zuppi di sudore, e mano male che non c’è il sole, ci incamminiamo verso la macchina che è un lontano puntino bianco in mezzo alla sabbia e ad un certo punto ecco il colpo da maestro, Ernest ci fa trovare in cima ad un altissima duna il tavolo già apparecchiato.
Il menù prevede: lasagna, insalata e apple-crumble e non manca nemmeno una bottiglia di vino sudafricano. Ci sentiamo parte di un luogo unico: l’oceano di sabbia da una parte e quello d’acqua dall’altra, difficilmente potrà in futuro pranzare in uno scenario al pari di questo, siamo dei privilegiati.
Il pomeriggio volge al termine ma non manca un’ultima grande emozione quando Ernest blocca la macchina sulla cima di una duna con il muso puntato verso il basso lungo una pendenza di almeno 60°, quasi non riusciamo ad aprire e chiudere gli sportelli, data l’inclinazione dell’auto.
Siamo pronti e quando chiedo – Ernest, are you sure?- lui si volta , mi guarda, sorride con gli occhi grigi che gli brillano un pò birboni e invece di rispondermi molla il freno a mano e a motore spento scivoliamo in caduta libera provocando un boato che ricorda il rumore di un jet.
Lo rifarei all’infinito come da bambina con lo scivolo, i tuffi dagli scogli e i salti sul materasso.
Queste sono le dune barcane, le dune ruggenti del Namib!
La nostra guida non è solo un ottimo driver ma una persona delicata e profonda che ha saputo trasmetterci la sua passione e il suo profondo rispetto per la Natura (quella con la “N” maiuscola).
Facciamo rientro mestamente a Swakopmund, Sarah non ha smesso un attimo di chiacchierare a macchinetta e di ridere, Andrew dice che è stato il vino. Ci salutiamo con affetto e ringraziamo di cuore Ernest per questa bellissima esperienza e le grandi emozioni che ha saputo regalarci.
Concludiamo con la cena al Lighthouse , un ottimo pesce e una torta al cioccolato degna della migliore pasticceria nord-europea, perfetto finale per una giornata indimenticabile.

Il 17 ottobre ci sveglia un timido sole, il cielo è appannato e fa sempre freddo. Dopo aver sbrigato qualche commissione lasciamo Swakopmund verso le 9 in direzione del Damaraland a nord-est, siamo un pò in ritardo sulla nostra tabella di marcia. Imbocchiamo la C34, una salted road piuttosto insidiosa. La nostra prima tappa circa 100 km a nord-ovest e appena usciti dalla città la strada corre tra il deserto e il mare. Stamattina atmosfera “on the road” , la radio trasmette musica da grandi distanze perfetto accompagnamento su questa lunga e dritta strada costiera. Incrociamo di tanto in tanto qualche veicolo e poi solo oceano, saline e sabbia punteggiata da sparuti cespuglietti verdi.
Alla radio parlano l’afrikaner, un mix di inglese, tedesco, portoghese e africano. Non capiamo assolutamente niente!
Verso le 11 arriviamo a Cape Cross che ospita la più grande riserva di otarie del mondo, la ormai leggendaria puzza c’è eccome ma fortunatamente non fa male!
Migliaia di otarie, emettendo un verso gutturale molto potente, saltano e lottano per accaparrarsi i posti migliori al sole crogiolandosi sugli scogli neri. I grossi maschi s’impongono e troneggiano maestosi. Poco distante molti sciacalli sonnecchiano aspettando l’occasione per approfittarsi di qualche animale debole.
Il mare è sicuramente gelido e potenti flutti si infrangono sulla scogliera, molte otarie stanno pescando e anche in mare aperto si vedono le tipiche sagome che spuntano a pelo dell’acqua.
Cape Cross è un luogo ai confini del mondo.

……continua….

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Fino a Swakopmund e poi il deserto….

La mattina del 15 ottobre ci sveglia un vento teso, costante e molto fastidioso. -Meno male che non ci è toccato ieri-abbiamo pensato-con tutta quella sabbia-.
Dopo il consueto check-car partiamo alla volta di Swakopmund, ci stiamo spostando verso nord-ovest.
Lungo la strada, in mezzo al nulla, incontriamo un cantiere. I manovali ci salutano, poveracci! Vivono chissà per quanto tempo in delle tendine piantate più in là, senza servizi e senza la possibilità di lavarsi. Probabilmente si prepareranno i pasti con dei fornelletti di fortuna. Non deve essere una gran vita…
La prima tappa e Solitaire.
E’ un posto in mezzo al deserto più deserto che nel tempo da semplice stazione di rifornimento si è ingrandito notevolmente.
Adesso, oltre alla pompa di benzina, al bar, alle piante di cactus e a qualche carcassa d’auto è stato costruito anche un lodge.
E’ un luogo leggendario in Namibia e non esiste viaggiatore che abbia affrontato la lunga, polverosa e incandescente C14 che non si sia fermato a gustare una mattonella della mitica torta di mele di Solitaire che è veramente deliziosa.
Solitaire è forse l’unico posto al mondo dove si può mangiare l’apple crumble in mezzo al deserto.
Il caldo è torrido, tremendo.
Percorriamo i 350 Km che ci separano da Swakopmund in circa sette ore attraversando distese desertiche arroventate da un sole implacabile.
Il paesaggio varia in continuazione, prima le dune di Sesriem in lontananza, poi l’altopiano piatto e spezzato da grossi monoliti e plateau di mille sfumature e dopo Solitarire i tornanti che scendono ripidissimi verso il fondo dei canyons dei passi Gaub e Kuiseb.
Qui la roccia è compatta e nera ed infine il deserto piatto, di una desolazione disperata fino a Walvis Bay.
I protagonisti sono sempre il sole, il caldo, il colore e oggi anche il vento che soffia senza sosta e si fa sempre più umido e fresco man mano che ci avviciniamo alla costa.
La strada è bianca, polverosa e dritta a perdita d’occhio e per molti chilometri i dossi si inseguono come un nastro arricciato all’infinito. La larga striscia bianca che si perde all’orizzonte da un senso di vertigine, sembra di viaggiare verso la fine del mondo e tu sai che quella è l’unica strada che puoi percorrere e che in fondo non troverai niente di più che altra strada e deserto perchè tutto è stato strappato faticosamente e coraggiosamente alla sabbia e alle pietre.
Il deserto si riprende lo spazio non appena l’uomo si distrae , è una natura tanto indomabile e ostile quanto magnifica e affascinante.
Siamo ormai sulla costa e a pochi chilometri da Swakopmund ci troviamo catapultati improvvisamente in inverno. Lo sapevamo, la fredda corrente del Benguela porta su questo tratto di costa la nebbia, il fredooo e una forte umidità che penetra nelle ossa. Siamo passati da 45° a 15° in un quarto d’ora.
Swakopmund è la seconda citta del Paese e ha tutto l’aspetto di una cittadina tedesca sia nell’architettura che nelle abitudini di vita.
La città è la Forte dei Marmi della Namibia con un bel lungomare orlato di palme e belle case di namibiani benestanti. In estate (Dicembre) qui c’è una gran vita!
Appena fuori c’è la nostra Guest House, il Sea Breeze. E’ un albergo molto accogliente e arredato con ottimo gusto, un pò africato, un pò decò. I proprietari sono italiani e la loro passione per il design si apprezza non solo nell’insieme ma soprattutto nai particolari che danno all’ambiente un tocco di classe.
La sera torniamo in città, tutto chiuso e tutto buio e soprattutto un freddo cane. Ceniamo al ristorante “La Napolitana” un bel locale molto affollato e allegro, forzatamente all’italiana. Gustiamo due bistecche di struzzo in salsa d’arancia, maxi e squisite.
Rientrando in albergo consideriamo che fino ad ora tutto è stato al di sopra delle nostre aspettative, la gente è molto disponibile e amichevole anche se effettivamente il contatto umano scarseggia semplicemente perchè gli abitanti sono pochissimi e concentrati in pochi villaggi e cittadine e il resto….deserto.
Rientriamo nella nostra stanza e ci infiliamo sotto i nostri piumoni africani ma le tende bianche non trattengono molto la luce alle 6,30 del 16 ottobre siamo già in pista.
La colazione è servita al piano di sopra del corpo principale, noi alloggiamo in una dependance denominato “controvento”. La sala da pranzo fa parte di una zona living calda e accogliente con il camino, divani di stoffa, comode poltrone in midollino e un bel tavolo basso . Qui gli ospito possono leggere, chiaccherare e guardare la TV, molti soprammobili, sculture in legno ed accessori sono scelti con cura e accostai con grande creatività..
Le ampie finestre si affacciano sull’oceano, lo spiaggione è spoglio, il cielo è grigio e il mare plumbeo, l’atmosfera è avvolgente e piacevolmente malinconica. La musica che ci accoglie, John Coltrane e Duke Ellington è la perfetta colonna sonora per questa ambientazione che potrebbe essere tranquillamente il Mare del Nord, solo che qui siamo in Africa.
Swakopmund è un luogo unico e stupefacente.
Puntuale all 8,30 viene a prenderci Ernest, la guida della Turnstone Tour contattata già da Firenze via Internet, per accompagnarci in una escursione a Sandwich Harbour. Nostri compagni una coppia di Inglesi più o meno della nostra età: Sarah e Andrew. Il fuoristrada è una Land Rover universalmente riconosciuta come la regina delle sabbie. Ci avviamo verso Walvis Bay, l’unico porto di una certa importanza da Sudafrica all’Angola, oggetto per secoli di dispute e guerre e per lungo tempo protettorato sudafricano. Proprio da qui comincia la nostra escursione ma alla prima dunetta l’auto emette un latrato spaventoso bloccandosi a metà salita. Ernest appare preoccupato manifestando tuttavia una calma disar,+mante. In folle e a retromarcia riporta l’auto alla base della duna , tira fuori gli atrrezzi e dopo un breve intervento , con Roberto a fare da ferrista, la diagnosi è : rottura dei denti del semiasse posteriore destro!
Eccoci!
Ernest mette mano al cellulare e dopo due ore di conversazione(in English, obviously) è un paio di caffè bollenti, arriva la macchina di ricambio.
Finalmente l’avventura comincia davvero, capiamo immediatamente che Ernest ha una reale e profonda passione per la natura. E’ un bell’uomo sulla quarantacinquina, con i capelli brizzolati e gli occhi grigi, magro e dai tratti nord-europei. L’escursione che andiamo ad intraprendere prevede l’attraversamento per circa 30 Km vesrso sud della parte Nord Occidentale del Naukluft Park.
In questo tratto di costa le maestose dune si tuffano direttamente nell’Oceano Atlantico creando uno scenario impareggiabile, estremo, a tratti spettrale poichè il sole è completamente offuscato dalla persistente cappa di nebbia.
Ernest conduce per diverse ore la Land Rover sulla sabbia fine salendo e scendendo dalle dune con una padronanza e una abilità per noi entusiasmanti. Per un lungo tratto guida sulla battigia con l’oceano spumeggiante a 50 cm dalle ruote sulla destra e le dune a strapiombo , alla stessa distanza, sulla sinistra.
La marea comincia aslire e quindi dobbiamo fermarci, Ernest ci da istruzioni di salire sulla prima duna con la raccomandazione di rimanere sempre sul primo crinale e non dirigerci mai all’interno. Lui deve cercare un punto per risalire e tornare indietro.
Ci diamo alla scalata. Dall’alto si apre ai nostri occhi lo spettacolo grandioso del mare di dune beige che si estende a perdita d’occhio nell’entroterra, restiamo senza fiato.
Ad un certo momento mi sono ritrovata sola e mi sono fermata sul crinale. Volgendo lo sguardo a 360° mi sono sentita veramente una nullità in mezzo alla potenza della natura, qui l’essere umano vale meno del più piccolo insetto o scarafaggio adattati a questi luoghi.
Ho pensato che se fossi veramente sola, a questa distanza dalla città probabilmente non avrei scampo.

Se esiste un luogo sulla Terra che può contenere in sè dei concetti filosofici quali la solitudine, l’eternità, lo smarrimento e anche l’esaltazione penso sia il deserto. Le sensazioni sono irripetibili, profonde e sembrerà strano ma è proprio qui che ho sentito autenticamente e intimamente la nostalgia dolorosa e profonda delle persone che ho amato e che non ci sono più e ho voluto credere che fossero li, vicino a me, in spirito per poter condividere almeno così ciò che non è più condivisibile materialmente.

…continua…

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Dalla duna 45 a Sesriem Canyon

…..Arrivati in cima ci appare a perdita d’occhio un mare di altissime dune di tutte le forme e dalle mille sfumature che vanno dal rosa pallido al rosso mattone , il silenzio è totale solo il rumore del vento e di un piccolo aereo da turismo che scompare all’orizzonte.
L’azzurro del cielo è così deciso da creare un contrasto che definisce graficamente i contorni delle dune.
Io e Roberto siamo soli, sospesi in questa atmosfera che nette quasi paura tento è forte e terribilmente affascinante.
Dopo essere stati un bel poco a rimirare, coscienti del fatto che probabilmente non torneremo mai in questo luogo, iniziamo la discesa ma un serpente ci sbarra la strada. Da provetti cittadini non sappiamo come fronteggiare la situazione, Roberto si avvicina per scattare qualche foto e dice che non è velenoso, ha fatto tesore delle lezioni di erpetologia prese in Costa Rica.
Sara! Ma io non mi fido mica tanto….proviamo a spaventarlo e allora si che il nostro amico si mette sulla difensiva ma poi dopo, pieno di commiserazione nei nostri confronti, se ne va tranquillamente.
Riprendiamo la strada verso Soussusvei ed arriviamo al parcheggia 4×4 cioè il posto dove chi non ha un fuoristrada è obbligato a fermarsi e proseguire a piedi o utilizzando dei servizi navetta.
Da qui a Soussusvlei Pan ci sono 5Km di pista di sabbia molle. Roberto è stanco e pure io e considerando che sono circa mezzogiorno preferiamo lasciare la macchina e farci scarrozzare.
Arriviamo all’Oasi che è un vasto pan piatto e candido di fango essiccato e percorso da infinite crepe, molto raramente durante la stagione delle piogge diventa una pozza d’acqua. Questa tonda depressione abbagliante è circondata da imponenti dune arancioni, da cespugli spinosi e da rarissimi alberelli che creano una provvidenziale ombra per orici, spingbok, orici e gazzelle..
Questi elementi danno vita ad un paesaggio talmente irreale da sembrare frutto della fantasia.
Mentre alcuni turisti scalano le dune più alte, c’è una famiglia di tedeschi che come noi è alla scoperta dell’oasi. I due bambini di 3/4 anni scalzi e senza nemmeno un cappellino scorrazzano sul pan in mezzo agli sterpi e ad eventuali rettili e insetti.
Io mi sono chiesta: va bene che noi italiani non porteremmo mai dei bambini in mezzo al deserto namibiano a 50° ma c’è qualcosa di esagerato in noi attrezzati con cappello, scarpa da trekking e scorta d’acqua o in loro che sembrano nel giardino di casa?
Siamo entusiasti, non dimenticheremo mai le dune del Namib, un luogo che rapisce per la sua bellezza ma che può annichilire, dipende da come lo si incontra.
Già con la nostalgia torniamo indietro e visitiamo il Sesriem Canyon. Bello, davvero, merita la visita ma magari non alle tre del pomeriggio come abbiamo fatto noi sciagurati.
Il fondo del canyon è sabbioso, intervallato da ghiaioni e zone di grossi ciottoli tondi. Alcuni alberi sono cresciuti sul letto del fiume ormai secco. Una parte del canyon strettissima e ombrosa conduce ad una piccola pozza d’acqua perenne , in questo punto è freschissimo e le pareti rosate portano i segni dei vari livelli d’acqua raggiunti nei millenni.
Torniamo al Betesda Lodge abbastanza presto e notiamo solo ora che sul comodino ci sono i Salmi e il Nuovo Testamento e sulle etichette delle bottiglie d’acqua è stampata una croce. Che sia un luogo di ritiro spirituale?
Dopocena mi riempio gli occhi con il cielo australe che non finisce mai di emozionarmi e alle 21,30 tutti a nanna. Oggi: una giornata unica!

continua…

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Namibia-Botwana-Victoria Falls- Ottobre 2007

” Dio creò il deserto
perchè l’uomo potesse
incontrare la sua anima”

Proverbio Tuareg

1° Parte- Dalla partenza fino alla Duna 45

A volte le esperienze più belle della nostra vita avvengono un pò per caso, suggerite da una parola captata, da un sentito dire.
Nonostante fosse un mio sogno nel cassetto questo viaggio in Africa è stato quasi un’intuizione, l’idea è partita da due parole sentite al volo in un corridoio del mio ufficio. Roberto (il mio compagno) era un pò titubante dato i costi, l’ambiente ostile , il fatto di essere da soli….
– Macchè!- Gli ho detto- Dai, si fa!-
Ci siamo entusiasmati e l’abbiamo fatto e adesso siamo soddisfatti e certi che niente e nessuno potrà toglierci ciò che abbiamo già vissuto e quello che di questo viaggio rimarrà dentro di noi per sempre.

Arrivare a Windhoek via Atene con scalo a Johannesburg ha richiesto un giorno intero di viaggio e quando alle 14 del 12/10 approdiamo alla Pension Christoph sulle colline della capitale namibiana siamo abbastanza stravolti ma pieni di energia.
Dopo un breve incontro con Manuela, l’incaricata della locale agenzia Latitude 24, decidiamo di fare due passi alla scoperta del centro cittadino.
La Signora Amanda, titolare dell’albergo, è molto preoccupata per la nostra incolumità ma andiamo e torniamo a a piedi e va tutto bene o forse “ci è andata bene” ma poco importa perchè il nostro unico desiderio adesso è una bella notte di sonno perchè domani comincia la nostra avventura.
Alle 7,30 del 13 ottobre facciamo colazione in una sala arredata con pelli di animali, un orologio a pendolo e due dei sette nani a decorare un’anonima credenza! All’esterno maestosi alberi carichi di fiori viola punteggiano la città. Dopo aver ritirato l’auto, una Nissan 4×4 scendiamo lungo la Indipendence Av., la 5° Strada di Windhoek, dobbiamo fare la spesa e cambiare un pò di soldi. Mentre Roberto è in banca io resto fuori e comincio ad osservare curiosissima e attenta. Ad un certo punto vedo spuntare alla mia destra un vecchio che cammina appoggiandosi ad un bastone, sembra cieco, e dietro di lui due giovani donne.
Le ragazze, bellissime, sono in pratica nude hanno solo una cintura alta che copre i fianchi e le natiche. Delle fasce ai polpacci, i piedi sono scalzi, un particolarissimo copricapo e delle collane. Il tutto in pelle e per il resto niente! L’unica cosa che ricopre il loro corpo ed i lunghissimi capelli intrecciati è un impasto di terra ocra e di grasso animale. Sono gli HIMBA, i pellerossa d’Africa.
Hanno un incedere ed un aspetto fiero e disinvolto, nessun imbarazzo e sovrastruttura. Sono spettacolari, liberi, stupendi.
Naturalmente i turisti si voltano stupiti ma i locali no, gli Himba fanno parte della loro quotidianità.Come benvenuto non poteva essere più affascinante, -questa vacanza non sarà banale per niente -penso.
In notevole ritardo sulla nostra tabella di marcia partiamo alla volta di Sesriem e dopo pochi kilometri la strada asfaltata lascia il posto allo sterrato che ci accompagnerà praticamente per tutto il viaggio e che ci obbliga ad abbassare la pressione delle gomme per diminuire il più possibile l’eventualità di forature e scoppi.
Appena usciti dalla città il paesaggio che ci appare ci ripaga immediatamente della fatica del viaggio. Incontriamo subito i primi animali che impareremo a riconoscere e diventeranno una presenza costante.
I primi 350 Km corrono in mezzo al deserto, incrociamo pochissime auto che volano sulla strada alzando nuvoloni di polvere fine come il borotalco. Gli spazi sono immensi, un deserto pietroso sconfinato interrotto da monoliti e alte montagne mozze e piatte, ora gialle, ora rosse ocra, poi albicocca, alcune volte quasi celesti. Una sfumatura continua, una tavolozza di colori. Il cielo è azzurrissimo e non c’è una nuvola, il contrasto è netto, forte, il silenzio totale. E’ un altro mondo.
Lungo il tragitto incontriamo qualche fattoria, ci chiediamo come si possa vivere così isolati lontani da tutto e da tutti ed arriviamo alla conclusione che si tratta di calarsi, probabilmente nascerci, in un altra dimensione di spazi, tempi, aspettative e priorità.
Questo è un luogo spirituale dove ti trovi obbligatoriamente a contatto con la tua parte più emotiva. Non vediamo ed incontriamo nessuno se non un uomo, penso un bracciante, che ci rincorre per avere un poco d’acqua!
Già, l’acqua! Impareremo ad offrirla, sempre.

Il pomeriggio corre veloce tanto che alle 19,30 siamo ancora sulla strada e ci coglie il buio.

La notte nel deserto è strabiliante , il tramonto infuocato lascia spazio in un baleno a milioni di stelle che bucano un cielo di un blu profondo . Il tutto esaltato da una assoluta oscurità. E’ meraviglioso, mi ricorda il cielo del Presepe!
La mia dottoressa dice – Le persone non guardano le stelle perchè se lo facessero tutto il resto perderebbe senso- Penso abbia ragione, tutto si ridimensionerebbe talmente tanto da svuotarsi di ogni significato umano. Quando la volta celeste è così zeppa di puntini luminosi sembra quasi che ti possa cadere addosso da un momento all’altro e noi insignificante granelli di carbonio attaccati per i piedi a questa Terra, in fondo cosa siamo? Così abituati ai doni della natura non li apprezziamo più, li diamo per scontati ma se ci fosse un solo posto al Mondo, uno solo, dove si potesse ammirare le stelle, una valle sperduta in mezzo ad un deserto come questo la gente farebbe carte false per poter provare questa grande emozione e invece….
Vabbè! torniamo sulla strada.
Come dicevo ci ritroviamo al buio pesto nel deserto alla ricerca di una strada laterale che ci porti al nostro lodge, è una parola!
Procediamo per circa 80 Km quasi a passo d’uomo, non vediamo assolutamente niente che non sia illuminato dai fari del fuoristrada e c’è il rischio che qualche animale sbuchi all’improvviso danneggiando seriamente la macchina e mettendoci nei guai.
Perdere l’orientamento è davvero l’ultimo lusso che ci si possa permettere in un deserto, di notte poi….Abbiamo affrontato questa difficoltà con intelligenza, calma, un pizzico di fatalismo e qualche risata e alla fine, scongiurata la notte in auto, alle 21,15 ci troviamo seduti nella sala da pranzo del Betesda Lodge e alle 22,30 chiudiamo i contatti, domattina alle 5,30 suonerà la sveglia ci aspettano le dune di Sossusvlei.

Alle 5,30 del 14/10 aprendo le tende della stanza ho pensato di essere su Marte. L’alba rossa tingeva il deserto di un tono intenso, le ombre sottolineavano le forme delle pietre e delle montagne e le ultime stelle brillavano ancora in un cielo che man mano si andava schiarendo, il silenzio assoluto interrotto solo dal canto di qualche uccello rendeva l’atmosfera surreale, una scenografia teatrale. Sono rimasta senza fiato- Corri Roberto, corri, vieni a vedere…corri!-
Con la colazione al sacco partiamo velocemente, per arrivare a Sesriem ci sono 40 Km.
Il tragitto è parte della strada che abbiamo percorso ieri sera nell’oscurità ma adesso che è già giorno la bellezza di questo luogo si manifesta in tutta la sua grandiosità.
L’alba sulle dune ce la siamo persa ma alloggiare all’interno del parco non è cosa per le nostre finanze.
Entrando rimaniamo abbagliati dal paesaggio mozzafiato: una lunga striscia di asfalto nero corre in mezzo a dune rosse, gialle, arancio, albicocca e ocra alte anche centinaia di metri, nessuna nuvola in cielo.
I giochi li luce creano spettacolari effetti sulle sinuosità delle dune, alcune sono da un lato nere e dall’altro rosse. Alberelli e cespugli tenaci e resistentissimi punteggiano di verde o giallo questo oceano di sabbia, a volte sono solo tronchi neri ritorti dal vento e arsi dal sole. Adesso possiamo dire di essere stati dentro una cartolina.
E’ già caldo e sono appena le nove quando arriviamo alla famosa e celeberrima Duna 45, non resistiamo alla tentazione di scalarla.

…continua….

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benvenuti sul mio blog

ciao a tutti ci sto prendendo la mano . Ci vediamo presto.

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